mercoledì 11 luglio 2007

Il Viaggio

Si parte. Il grande “mostro meccanico procede lentamente sulla pista buia. Speriamo bene! Ai due lati dell’aereo, ora è tutto illuminato ed il lunghissimo rettilineo è delineato orizzontalmente da luci rosse. Punto cruciale per il decollo. Stiamo correndo a piccoli sobbalzi. Ci alziamo. Ecco è fatta!
Prendiamo quota, le orecchie fanno male per l’altitudine. Ora si procede nel volo tranquillamente. Il dolore ai timpani è passato. Ci annunciano che stiamo volando a 3.000 metri di quota, ad una velocità di 9.000 km l’ora. Stiamo sorvolando una grande città ed il continuo alternarsi di luci blu, arancioni e rosse fanno pensare ad un grande circo, pronto per l’ultimo spettacolo, è sempre stupefacente vedere la terra dall’alto; ogni volta si rinnova la stessa meraviglia, lo stesso ingenuo stupore!
Un inconfondibile odore di carne suina fa la spia. Infatti la cena a bordo è a base di prosciutto cotto. Non è molto varia. Ci consoliamo con il thè, almeno ci riscalda lo stomaco. In certi momenti l’aereo sembra precipitare attraversando paurosi vuoti d’aria. Siamo sopra Varsavia. Sono le 2 di notte ed è bello stare al tepore, pensando che la temperatura fuori dall’aereo segna 60 gradi sotto zero. Ormai i passeggeri hanno perso l’euforia iniziale: “ C’e chi sonnecchia, chi legge il giornale, chi parla lo fa sottovoce per non rompere il clima distensivo creatosi. Arriviamo all’aeroporto alle 3 e mezza dopo la mezzanotte. L’interno è imponente, il soffitto e ricoperto di cerchi d’acciaio brunito, intervallati da tubi della stessa specie, per il cambiamento dell’aria. Sembra una stazione spaziale. Non ci stupiremmo se astronauti in tuta, galleggiassero nell’aria sopra di noi e sopra un tappeto di valigie, forse pacchi e carrelli lunghe file di persone accalcate, stravolte, immobili attendono il loro turno per la verifica dei passaporti. Comincia a farsi giorno. Le prime luci biancastre del cielo filtrano nell’aeroporto a spodestare l’illuminazione artificiale. Sono passate 3 ore dall’arrivo. Finalmente si giunge dinanzi allo sportello per il controllo dei passaporti. Un ragazzo biondiccio, guarda i documenti e scruta con sguardo gelido senza l’accenno di un sorriso, copre metà del suo viso da “ patata novella”. Si resta annichiliti a vedere un ragazzo cosi giovane, seppure incaricato di un lavoro di responsabilità che non sappia sorridere e se lo fa con le labbra appena tirate, ti mette un freddo dentro da sembrare di essere a tu per tu con un robot.
Alle 6 siamo nella hall dell’albergo. Anche qui tutto è enorme e dispersivo, freddo. Alla reception, ci annunciano che non esistono camere singole, cosi chi un mese prima ha prenotato e pagato la maggiorazione è costretto ad accomodarsi in camera doppia o tripla con emeriti sconosciuti. Ci viene da piangere. Le stanchezze, il dolore ai piedi per la snervante attesa all’aeroporto ci fanno accettare senza un minimo di dignità, di ribellione qualsiasi cosa ci propongono. Le camere dell’albergo di 1° categoria hanno lo stesso aspetto triste della hall. Ogni cosa è approssimativa. Le tende di cotone rosso scuro, pendono melanconicamente, staccate qua e la dai ganci la moquette dello stesso colore è bucata e scollata in vari punti, mentre il battiscopa e l’arredamento di legno sembrano corrosi dagli acidi, mostrando l’originaria “anima bianca” l’albergo è un grattacielo di cemento e vetro di colore grigio. Ha una capacità di 6.000 stanze, costruito da appena 5 anni ed è gia decrepito, mal tenuto, trascurato. La colazione è alle otto, pertanto non c’e tempo per riposare. Si pensa ad aprire le valigie per dare aria agli abiti che sono stati pressati per tante ore. Si fa una doccia per scacciare un poco la stanchezza e si parte alla ricerca del ristorante. Un labirinto di corridoi semicircolari tutti uguali, intervallati ogni dieci passi da porte con numerazione oltre il migliaio. Ce da perdere la testa e l’orientamento.
Finalmente si riesce a scendere alla reception. Chiedi gentilmente all’addetto dove si trovi il ristorante riservato al tuo gruppo. La signorina ti guarda come se chiedessi la luna. Non capisce o non vuol capire la tua lingua. Ti guardi intorno alla disperata ricerca di un tuo connazionale, smarrito e umiliato come te.

1 commento:

hermansji ha detto...

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