venerdì 20 aprile 2007

l'Indigestione

La colonia permanente (Di Donato) voluta da Mussolini per i bambini meno abbienti, era situata tra Formia e Gaeta. Era l’inizio della seconda guerra mondiale. A quel tempo tutto ciò che era commestibile veniva razionato: latte, pane, zucchero, ecc…Non era fame ma c’assomigliava molto. Ricordo la colazione nel grande refettorio. Sui lunghi tavoli erano approntate grandi scodellate piene di latte in polvere, molto annacquato. Il pane poi erano delle fette cosi sottili da essere trasparenti. Potevamo vedere benissimo attraverso di esse le campagne a noi di fronte. Un giorno, nella nostra tavolata decidemmo di fare una scommessa. Avrebbe vinto non chi finiva prima la colazione, bensì chi finiva per ultimo. Ci mettemmo allora con fare certosino a sbriciolare il pane nel tazzone per rendere il tutto una poltiglia finissima. Poi con la punta del cucchiaio si prendeva mollichella per mollichella , masticava lentamente e voluttuosamente. A parte la scommessa , incredibile ma vero, si aveva l’impressione di avere fatto una ricca colazione e mangiato a sazietà. Tutto terminava con l’arrivo della suora, che battendo le mani gridava: La colazione è finita. Fuori!
Ogni gruppo di ragazzine della stessa età, aveva una capo-squadra, che di solito era cattiva e antipatica. Nel mio gruppo ne avevamo una che si chiamava Corvo (di nome e di fatto) brutta come la nostra fame. Quando i parenti o i familiari ci mandavano i pacchi con delle cose da mangiare, lei era la prima a metterci le mani e a prendere ciò che voleva (Il meglio). Inutile fare le nostre rimostranze alle suore perché nei giorni seguenti ne pagavamo il fio con delle punizioni. Nei giorni di marcia, in fila per tre, come bravi soldatini lungo la strada che portava a Gaeta, si saliva su di una collinetta , dove c’erano dei bassi e striminziti alberelli, pieni di carrube. Le carrube sono come dei fagioloni lunghi e piatti, color cioccolato, dal sapore dolciastro. Noi le chiamavamo “Guainelle”. Siccome non si potevano portare le guainelle in colonia, ne facevamo delle grandi scorpacciate sul posto.
Durante le feste dell’anno, come Pasqua e Natale chi poteva, andava a casa per tre giorni. Ricordo un Natale molto particolare. Metà della colonia si sfollò. Io rimasi con l’altra metà. Non vi dico l’agitazione e la contentezza delle fortunate. Dimenticarono perfino la fame. Avevamo la pancia e lo stomaco bloccati. La sera prima della partenza, le suore pensarono bene di astenersi dal razionamento. Non volevano che andando a casa le festaiole, raccontassero ai familiari di non avere mangiato. Grosse fette di pane ricoperte da marmellata, vennero servite ai tavoli assieme al caffè-latte (Non annacquato).
Chi rimaneva si sentiva dire: Le vuoi le mie fette?
Si, si rispondevano. Io ne avevo fatto una colonna che come la Torre di Pisa pendeva, tanto più che mi fu difficile salire le scale e arrivare al dormitorio. Come Iddio Volle, con una mano sotto e l’altra sopra riuscii ad appoggiare la mangereccia, scorta sul comodino. Mi sdraiai a pancia all’ aria sul letto. Ero piena, intanto pensavo: Domani e dopo domani sarò servita a dovere, con tutto questo ben di Dio. Comincia ad agitarmi nel letto. Non riuscivo ad addormentarmi. Un forte dolore allo stomaco mi tormentava. Avevo freddo e la testa mi faceva male. Un sudore gelido mi scese per tutto il corpo. In ogni dormitorio dietro una tenda bianca, c’era il letto della sorvegliante notturna. Sto male, sto male piagnucolavo la sorvegliante non fece in tempo ad arrivare al mio letto, che io rimisi l’anima mia con tutto quel che segue: Pane, marmellata e latte. M’imbrattai tutta. Ero tutta appiccicosa e sporca. Benedetta figliola come ti sei ridotta, disse la sorvegliante. Mi spogliò e mi lavò tutta. L’unico tesoro che avevo, era una catenina d’oro, regalo di mia madre, avendola al collo la tolsero e non la rividi più. Sparì anche la torre di pane e marmellata. Rimasi più di un giorno a letto con lo stomaco in subbuglio e vuoto.
In un film Alberto Sordi dice: “A me m’ha rovinato la guera”.
E vero, quelle della mia generazione, otre i lutti, siamo stati derubati dell’adolescenza, della gioventù e ci siamo ritrovati grandi anzitempo.
Oggi posso anche sorridere dei miei ricordi ma vedendo le nuove generazioni, ignare di tutto e che tutto hanno, non sento invidia, ma un velo di tristezza copre il mio cuore per ciò che non ho avuto e per ciò che non abbiamo avuto.
E si a noi ci ha rovinato, la guera!

venerdì 13 aprile 2007

L'angelo e il diavolo

Un grande casermone bianco, lungo, rettangolare e basso, costruito negli anni Mussoliniani. La colonia permanente. Ospitava circa trecento bambini, maschi e femmine dai sei ai dodici anni. Era gestita dalle suore (le cappellane) per il grande cappello ad ali, rigido e bianco.

Le bambine erano divise dai maschi durante la giornata e la notte. Gli unici incontri si facevano lungo i corridoi delle rispettive aule, oppure nelle fatidiche marce per la strada principale che da Formia porta a Gaeta. Non ricordo quando feci amicizia con Paiella. Forse durante la ricreazione oppure al refettorio. Diventammo inseparabili, lei era biondina, delicata quanto io ero scura di capelli , ribelle e un poco prepotente. L’amicizia per me era totale mi dava alquanto fastidio quando lei parlava con le altre. Chi di più si meravigliò, furono le suore che ci seguivano più da vicino. Dicevano : Guardale. Il diavolo e l’angelo a braccetto. Mi faceva male. Però ero veramente felice di averla come amica. Nella parte sottostante della colonia c’era un piccolo terreno recintato, pieno di alberi di limoni, dove non era permesso entrare. Durante una ricreazione io e l’ angelo rompemmo quel divieto. Aveva piovuto molto quel giorno e il terreno era zuppo di pioggia. Ci incontrammo furtive non per prendere i limoni ma per scoprire chissà quali tesori. Con gli occhi fissi al terreno ed a mani vuote smuovevamo la terra. Niente di niente. Solo terra. Ad un tratto sotto le mie unghie qualcosa si mosse. Era un pezzo di pettine fitto che allora si usava per i pidocchi. Era veramente un tesoro per quei tempi tristi e avari, perché le poche cose che portavamo entrando in colonia, ci venivano letteralmente rubate. Senza nemmeno lavare quel reperto, cominciammo a passarcelo con forza tra i capelli alla “Paggio Fernando”. Rientrammo felici con il nostro piccolo tesoro.

Il giorno dopo la Paiella mi si avvicinò furtiva dicendomi: Guarda un po’ che ho nella testa. E li proprio al centro c’era un bel foruncolo rosso. Non è niente dissi, non ti grattare; Passerà. Passa un altro giorno e l’ infezione aumenta. Vai in farmacia dico alla mia amica. La suora lo disinfetterà. Questo accadeva di mattina, la sera la Paiella non era rientrata al dormitorio. Ero in apprensione non sapevo cosa pensare.

Invece il giorno dopo l’amica tutta sorridente mi fa: Come ho mangiato bene . Pasta asciutta, pane a volontà uova e frutta! Come e perché dico io. Tutto ciò solo per un foruncolo? Proprio cosi ; ha medicato il foruncolo , ha tagliato qualche capello intorno poi mi ha detto: E’ meglio che resti in farmacia per oggi, ti vedo molto sciupata. Sapevamo entrambe che la suora in farmacia aveva un debole per la mia amica e “L’ Angelo e il Diavolo” lo aveva ideato proprio lei. Miracolo! Dopo qualche giorno mi si arrossò tutto il centro della testa e tante piccole pellicine acquose facevano capolino. Paiella, Paiella guarda ho anch’ io l’ infezione, adesso vado dalla suora. Se a te ha dato un giorno per un foruncolo a me darà una settimana di infermeria. Evviva! E’ finito il razionamento, pancia mia fatti capanna! Corro dalla suora, lei guarda la mia testa e dice: Cosa avete combinato voi due? Comunque stai tranquilla non e niente. Cominciò a disinfettare. Brucia urlo io. Con le forbici fa un bel quadratino tagliando, i capelli. Poi con voce severa: Torna domani per la medicazione. Mi sentii morire. Oltre il dolore, pure il digiuno. Non dissi niente e me andai con la rabbia per l’ ingiustizia subita. Il peggio però doveva ancora venire. Medicazione il giorno dopo. Il terzo giorno l’ infermiera dice: Bisogna tagliare i capelli perché l’ infezione si allarga. No, no urlò, i capelli no. Allora lascerò la frangetta e le basette. Con le lacrime agi occhi che copiose scendevano sul grembiule feci si con la testa . Le cose non finirono, la suora infermiera si rivolse alla Madre Superiora perché intervenisse affinché mi decidessi a farmi rapare a zero perché oramai ero tutta una crosta. La Madre Superiora era un donnone alta e corpulenta che nemmeno le lunghe vesti riuscivano a snellire.

Aveva un viso pacioso e materno e se la Paiella era la cocca della suora infermiera io lo ero in egual misura per la Superiora. E’ vero che io ero l’attrice principale della sua recita Recitavo e Cantavo. Avevo una voce dai toni alterni, maschili e femminili. Mi chiamò nel suo studio e dandomi una carezza mi disse: Cara bisogna proprio che ti tagli a zero non guarirai altrimenti. I capelli ricresceranno , vedrai. No, Madre Superiora io non mi voglio rapare i capelli e bendarmi come Lazzaro, perché quando incontrerò i maschi si metteranno a cantare: “Zucca pelata dai cento capelli tutta la notte ci saltano i grilli e ci fanno una bella cantata, viva, viva la zucca pelata". Poi in classe le mie compagne si metteranno a ridere. No, disse seria la Madre Superiora. Sistemerò tutto io con i maschi, in quanto alle tue compagne di classe, verrò personalmente e parlerò con la suora-maestra. Cosi dicendo si alzò dalla sedia capiente e infilò le mani nelle profonde tasche della veste. E una, e due, e tre tirò fuori manciate di caramelle. Mi riempi le tasche del grembiulino. Queste sono tutte per te, cara. Il giorno dopo, assieme alla Superiora, come la chioccia e il pulcino entrammo nella mia classe, le compagne come videro la mia testa pelata come una palla, allargavano gli occhi e stavano per allargare la bocca, ma la stazza imponente della Superiora le fece desistere e serie si alzarono in piedi; “Buon giorno Madre Superiora” Salute, salute rispose lei. Si avvicinò alla cattedra della suora-maestra e con la mano mi sospinse verso di lei e aggiunse: Questa bambina la tenga vicino, sulla cattedra e punizione a voi bambine se ridete di lei. Se ne andò leggera come un angelo. Dalle tasche del mio grembiulino tirai fuori le caramelle le mostrai a tutte accompagnandole con un piccolo vezzo della bocca. Feci capire loro che io avevo le caramelle e loro no.

Fu la mia piccola rivincita.